Il Vieusseux di Alessandro Bonsanti

di Gabriele Turi – In “Alessandro Bonsanti nel centenario della nascita. Atti del Convegno di Studi. 20 aprile 2004”, «Antologia Vieusseux», n. s., a. X, n. 30, settembre-dicembre 2004, Polistampa, Firenze, pp. 5-20.

Alessandro Bonsanti «è stato sempre alla testa di una rivista o di un giornale, di un ciclo di conferenze, di una mostra, di un convegno, di una casa editrice, di un archivio, di un circolo culturale», scrisse Giorgio Zampa quando egli lasciò la direzione del Vieusseux nel 1980[1]. L’opera dell’organizzatore di cultura ha infatti accompagnato nel corso degli anni quella del letterato puro, che ha prevalso a lungo nella critica, in linea con l’autorappresentazione costruita dallo stesso Bonsanti attraverso l’esperienza di «Solaria» e di «Letteratura».

La quarantennale direzione del Gabinetto Vieusseux è l’esempio più appariscente della sua capacità organizzativa, ma è stata finora considerata quasi una appendice burocratico-professionale all’attività dello scrittore e dell’animatore di riviste-letterarie[2]. Non è così, anche se può aver indotto a pensarlo una persistente sottovalutazione delle istituzioni culturali da parte degli storici della cultura e, in alcune fasi della storia italiana e fiorentina, da parte del mondo politico. Il senso dell’istituzione era invece forte in Bonsanti, e qualifica la sua figura di «organizzatore di cultura». Non è un caso che la sua lunga guida del Vieusseux sia incorniciata da due momenti politicamente significativi, la direzione del «Mondo» fiorentino nel 1945-46 e la carica di sindaco di Firenze nel 1983-84: momenti non «minori» o marginali rispetto ad altri della sua opera[3], essi sono anzi inscindibili dal complesso della sua attività e permettono di comprenderla più a fondo. In questa ottica ho cercato di leggere la sua direzione del Vieusseux, visto come il luogo – o uno dei luoghi principali – di espressione della sua figura di intellettuale, senza pretendere di ricostruirlo in tutti i suoi aspetti istituzionali.

L’impronta culturale che egli riuscì ad affermarvi, soprattutto dalla fine degli anni ’50, ha un nesso con i contatti politici che fu capace di mantenere e con le scelte civili di cui sono intessuti numerosi suoi interventi sulla stampa periodica. Quando nel 1980 diventò consigliere comunale, ringraziando Marino Raicich che lo aveva incoraggiato «a percorrere un calvario che conosci bene», precisò: «si tratta di un compimento, non di un debutto, e lo dedico a coloro cui è sfuggito, non sempre in buona fede, che la fondazione di Letteratura fu un ‘gesto’ politico»[4]. Egli esprimeva così la consapevolezza che il suo lavoro di letterato non era alieno dall’impegno civile, negli stessi anni in cui, pur senza dimenticare i suoi primi amori proustiani, rifletteva su Victor Hugo «colloquiando» con lui, scriveva, via via che prendeva coscienza «delle analogie e dei riferimenti che il pensiero e il comportamento del poeta sui fatti dei tempi suoi suggerivano qualora si tentasse un paragone con i fatti d’oggidì»[5]. «Molti suoi discorsi sui problemi della pace, della fame, delle condizioni sociali, sebbene pronunciati in Francia nel secolo scorso andrebbero bene in Italia oggi», dichiarò in un’intervista in cui indicava Hugo come modello di intellettuale[6].

Bonsanti divenne direttore nel maggio 1941 su proposta, e insistenza, del ministro dell’Educazione nazionale Bottai, che offrendo un contributo di 12.000 lire per il suo compenso vinse l’iniziale resistenza del podestà e del Consiglio di amministrazione, i quali opponevano «ragioni tecniche e finanziarie»[7]. Il suo insediamento come «direttore incaricato della biblioteca» – questa la dizione che ricorre allora nei verbali – avviene poco dopo il trasferimento della sede in Palazzo Strozzi ed è ratificato in un momento difficile, nella seduta successiva a quella in cui, su richiesta del segretario della federazione fascista, come nelle altre biblioteche italiane gli ebrei furono esclusi dall’elenco degli abbonati del Vieusseux dopo un vano tentativo del presidente Jacopo Mazzei di opporvisi[8].

Credo che la scelta della sua persona, come quella di Eugenio Montale che lo aveva preceduto dal 1929 al 1938 e, prima di lui, quella di Bonaventura Tecchi nel 1925-29, si spieghi con la parziale copertura politica che a questi intellettuali solariani assicurò la famiglia Pavolini, attraverso il critico e scrittore Corrado, il fratello di Alessandro – dal 1929 segretario federale del Pnf di Firenze – e loro padre Paolo Emilio, il docente di sanscrito che come vice presidente e quindi presidente del Vieusseux sostenne le candidature di Tecchi e di Montale[9], mentre il suggerimento del nome di Bonsanti da parte di Bottai, che fu sempre in stretto contatto con il gruppo dei letterati fiorentini, potrebbe avere avuto il sostegno di Alessandro Pavolini, dal 1939 a capo del ministero della Cultura popolare che all’inizio del 1943 vediamo elargire un contributo sostanzioso al Vieusseux[10].

Rilevare questi contatti e questi legami, spesso indispensabili per chi volesse muoversi all’interno del regime, non significa ovviamente identificare gli intellettuali posti alla direzione dell’ente con il fascismo, ma vuole indicare la complessità di molti percorsi: «allora fascisti e antifascisti vivevano insieme. Non solo, ma c’era dentro ciascuno di noi, di noi diciamo antifascisti, anche qualcosa di fascisti», ha affermato Giampiero Carocci rievocando l’ambiente fiorentino in cui il fratello Alberto aveva fondato «Solaria» proprio nelle stanze del Vieusseux[11]. Del «difficile isolamento di «Solaria», la rivista ritenuta il simbolo di una appartata «repubblica delle lettere», ho parlato in altra sede per spiegare come essa non potesse sfuggire alle necessità della politica, pur con la sua grande apertura europea, conflittuale con il nazionalismo del regime[12].

In un testo del 1963 su La cultura degli anni Trenta che, riletto oggi, si dimostra un efficace strumento interpretativo forse proprio perché condotto prevalentemente sul filo di una memoria capace di evitare ogni semplificazione, Bonsanti ha valorizzato le sue riviste, «Solaria» definita « apolitica e libera», e «Letteratura», il cui apoliticismo nascondeva «una convinta opposizione alla politica culturale del regime» – una «opposizione legale», scrive -, ma ci ha offerto al tempo stesso un panorama assai variegato e complesso del rapporto tra intellettuali e regime. All’antitesi tra cultura fascista e cultura antifascista, ritenuta troppo schematica – anche perché in essa non rientrava la «cultura che fascista non era, né voleva essere», afferma con accenti che paiono autobiografici -, egli preferisce quella tra cultura ufficiale e cultura libera, nozioni ritenute più utili perché trascendono il periodo fascista.

In un discorso costruito in gran parte sulle riviste letterarie, Bonsanti sottolinea la persistenza di quella cultura aperta alla letteratura straniera che aveva fatto conoscere opere importanti «sotto il profilo formale e tecnico, e sotto quello della particolare concezione dell’uomo e del mondo», ma avverte l’esistenza di contaminazioni tra le due culture, rese evidenti nel 1940 dall’ambigua politica culturale di «Primato» di Bottai. E il dichiarato rifiuto di ricorrere al vocabolo «fascismo», perché troppo abusato anche nel dopoguerra, indica come Bonsanti volesse attribuire un significato più generale alla sua riflessione sugli anni ’30 nei quali si era svolta la sua maturazione intellettuale, traendone un insegnamento per il presente: «se la politica è un elemento della cultura – scrive -, si tratta del più irrequieto e malfido componente di essa, da cui di continuo la cultura è costretta a guardarsi, e spesso deve difendersene in una lotta aperta»[13].

Non era un rifiuto della politica, ma la difesa degli spazi propri di quella che egli definiva «cultura libera», a sua volta intesa come scudo contro interferenze allotrie. «Starsene nella torre d’avorio volle significare, innanzitutto, non prender parte attiva al fascismo», aveva affermato nel 1957 rivendicando la posizione dei chierici che non avevano tradito[14].

Dall’esperienza del fascismo Bonsanti eredita un misto di attrazione e di diffidenza per la politica. Al di là del valore storiografico della sua testimonianza, vi è in lui la rivendicazione della coerenza intellettuale, senza alcuna pretesa di fare un discorso generazionale, che sarebbe in antitesi con la sua affermazione della singolarità di ogni itinerario. Quando definisce «afascista» la sua posizione degli anni ’30, nel momento in cui diventa sindaco di Firenze a capo di una giunta laico-socialista che con l’appoggio della Dc ha sostituito quella «rossa», egli intende sottolineare la ricerca di un equilibrio tra forze contrapposte, un equilibrio che sembra corrispondere alla sua prosa pacata e analitica[15], in cui nessun particolare viene eluso: Bonsanti esprime la volontà di mediare tra i partiti come aveva fatto in passato tra i letterati[16]. «Era una specie di arbitro al di sopra delle parti» dimostrando vere «qualità politiche» nelle sue riviste, affermò in quella stessa occasione Carlo Bo, aggiungendo che il «letterato» era «alla radice dell’uomo politico, nel senso che nella nuova responsabilità [di sindaco] Bonsanti non avrà che da portare il suo spirito di equilibrio e quel robusto senso della realtà cui si è sempre ispirato anche come sollecitatore di cultura e inventore»[17].

È lo stesso equilibrio di conservatore illuminato, tra forze politiche diverse, che Bonsanti dimostra dirigendo la prima annata de «La Regione», la rivista promossa nel 1954 dall’Unione regionale delle province toscane, che contava nel suo comitato direttivo figure come Alberto Bertolino, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Mario Bracci, Giacomo Devoto e Ugo Castelnuovo Tedesco, e che nel 1955 sarà diretta da Fabiani. «La rivista si occuperà di problemi amministrativi ed economici già depurati dalle scorie dei contrasti e delle discussioni; problemi culturali come si sono ormai chiariti nelle coscienze e negli intelletti», scrive evitando di parlare di problemi «politici», come ha notato Giacomo Becattini richiamando la sua visione «moderata e riformista»[18].

Ispirata alla ricerca dell’«imparzialità», la formula de «La Regione» gli ricorda quella del «Mondo» del 1945-46 da lui fondato[19]. Il quindicinale, che esce il 7 aprile 1945 a Firenze, prima del «Ponte» di Calamandrei, con un comitato direttivo composto da Bonsanti, Loria, Montale e Scaravelli, a dispetto del sottotitolo «lettere scienze arti musica» – che ricorda quello di «scienze, lettere e arti» dell’«Antologia» di Giovan Pietro Vieusseux – ha una marcata impronta politica e riflette le convinzioni del direttore responsabile Bonsanti, che ospitava la redazione a Palazzo Strozzi. Il direttore, che si occupò personalmente di cronaca cinematografica ma discuteva con gli amici Carlo Morandi e Francesco Calasso gli articoli di politica estera e di politica interna[20], ricorderà che la pluralità dei temi toccati – attualità e storia, letteratura e fisica, giurisprudenza, biologia e medicina –  nasceva dalla «certezza maturata durante la guerra che il mondo cambiava e che per affrontare i prossimi tecnicismi occorresse prepararvisi almeno con la buona volontà», mentre la linea politica ispirata al Comitato di liberazione nazionale vedeva confrontarsi opinioni diverse nella rubrica «Tribuna libera». «Un altro atteggiamento – ricorda Bonsanti – fu quello della comprensione e della indulgenza, il rigetto delle posizioni d’intransigenza verso il passato nel desiderio di veder chiaro nel cuore di un periodo così lungo e tormentoso, pur restando fermi sui principii»[21]. Ne sono una dimostrazione, fra le tante, l’articolo Il fascismo e la letteratura in cui Montale, sul primo numero della rivista, nega ogni influenza del regime sui letterati, tutt’al più costretti al ripiegamento intimistico del «trobal clus»; la protesta redazionale, in calce a un articolo di Giuseppe De Robertis, per la sua epurazione dalla cattedra dove era stato chiamato per «chiara fama» al posto di Attilio Momigliano allontanato nel 1938 in seguito alle leggi razziali[22]; il ricordo di un intellettuale scomodo come Ugo Ojetti fatto alla sua morte da Arturo Loria, secondo il quale «l’angoscia del presente e l’amarezza verso il passato che lo partorì tendono ad allontanarci da una chiara valutazione di ciò che non è transeunte nella geniale testimonianza di un uomo che descrisse e illustrò la scena di un tempo tormentoso»[23], o le parole con le quali Giampiero Carocci invita a non condannare tutti i giovani che aderirono al fascismo[24].

Il rapporto di Bonsanti con la politica è molto diverso da quello del gruppo azionista fiorentino e delle riviste cui questo dette vita nel dopoguerra, o da quello dell’«amico-nemico» Vittorini[25]. Diverso è il giudizio sul fascismo, non presentato come quella «malattia» metastorica che secondo «Belfagor» di Russo e «Il Ponte» di Calamandrei attraversava e continuava a infestare la storia e l’attualità italiana, anche se Bonsanti ne riconosce i primi segnali «nell’equivoco dello Statuto albertino»[26]. Vi è tuttavia in lui, e nel «Mondo», qualche affinità con il clima di medietas che si respirava nel dopoguerra a Firenze, con «quella sua posizione geografica defilata in un’ansa dell’Appennino – scrive Bonsanti – che a detta di Devoto fu una delle ragioni principali d’aver conservato un linguaggio che andò bene per tutti»[27]: la «continuità tra il passato e l’avvenire» non è una prerogativa del programma del «Ponte» dell’aprile 1945, anche se si traduce in una critica di costume nella penna del Bonsanti scrittore moralista.

È in questo quadro complesso di continuità e discontinuità, e insieme di equilibrio, che va collocata l’opera del direttore del Vieusseux. Già autorevole «protettore» di letterati nel 1938, quando lo conosce Giovanni Macchia[28] e figura come membro della Commissione per le proposte di acquisto dei libri italiani del Vieusseux[29], Bonsanti sembra voler valorizzare fin dall’inizio, accanto alla biblioteca circolante, quel centro culturale che aveva auspicato nel 1927 Raffaello Franchi. Nel 1937 aveva presentato il Vieusseux come «un’istituzione fiorentina fra le più singolari, degna di vivere di vita autonoma»[30], e in una lettera del 1941 al presidente dell’istituto Jacopo Mazzei egli, appena nominato direttore, espone il progetto – già consegnato al ministero della Cultura popolare di Pavolini – di un’ampia attività culturale che riprendesse le tradizioni originarie del Vieusseux e ne valorizzasse il patrimonio librario per dar vita a un Centro di letterature contemporanee[31].

Il progetto teso a dare al Vieusseux la fisionomia di istituto di alta cultura comincerà ad essere realizzato molto più tardi, non solo per i problemi creati dalla guerra e dall’immediato dopoguerra, ma anche per le costanti difficoltà economiche e per la debole figura istituzionale che ebbe all’inizio il direttore.

Le questioni del finanziamento riempiono in modo ossessivo e quasi esclusivo i verbali dei Consigli di amministrazione. Il panorama offerto nel 1945 da Montale, commissario del Comitato toscano di liberazione nazionale presso il Vieusseux[32], non migliora negli anni seguenti. Da allora il disavanzo è crescente, per la necessità di acquistare riviste e libri stranieri usciti dopo il 1939, l’aumento degli stipendi del personale – che pur fino all’alluvione non arriva a superare le 13 unità[33] – e quello del prezzo dei libri, decuplicati dal 1943 al 1946 mentre il contributo del Comune era aumentato solo di 5 volte, per i minori introiti derivanti dalla netta diminuzione degli abbonati[34].

Questa situazione impone un aumento delle tariffe per gli iscritti al prestito e l’abolizione di quelle agevolate per i docenti universitari e, soprattutto, un continuo braccio di ferro sulla definizione giuridica dei rapporti con il Comune. La convinzione dell’Istituto che, dopo il passaggio di proprietà dal Credito Italiano nel 1921 e la creazione dell’ente morale nel 1925, il Comune fosse obbligato a sostenerlo economicamente, è riconosciuta nel 1947 dal Consiglio comunale[35], che tuttavia non riesce a onorare in pieno il suo impegno, rimettendolo anzi in discussione sul piano formale, tanto che dal 1958 Bonsanti caldeggia l’idea di una legge speciale che ponga l’ente sotto la tutela dello Stato[36]. Nel 1969, sebbene siano riconosciuti ancora una volta gli obblighi del Comune, il direttore si sfoga per la «difficoltà di dimostrare che il problema è molto semplice a chi non ha orecchi per sentire o non vuol dedicare il tempo occorrente ad ascoltare la voce del Vieusseux», e «ritiene di non essere in condizioni di esplicare le proprie funzioni in uno stato di continuo disagio sia economico che morale. Le sue visite in Comune – sottolinea – sono state quasi giornaliere»[37]. Dopo l’alluvione, continue sono le richieste che l’ente sia riconosciuto istituzione comunale, in modo da caricare sullo Stato le spese per i danni subìti[38] e quelle per nuovi spazi dove collocare i volumi.

La difficoltà di affermare un robusto programma di iniziative deriva anche dallo squilibrio di potere tra la carica di presidente e quella di direttore, che solo con Bonsanti acquista peso e spessore culturale alla fine degli anni ’50. Dopo la cacciata di Montale la carica era stata divisa tra un direttore della biblioteca e un direttore amministrativo, scelti entrambi tra i funzionari del Comune. Alla fine della guerra Bonsanti – che inizialmente sembra non volesse continuare nella direzione[39] – figura, abbiamo visto, come «direttore incaricato della biblioteca», una dizione che corrisponde alla lettera dello Statuto del 1925, che annoverava il direttore tra il personale dell’ente riservandogli una funzione di controllo amministrativo: egli era «il capo del personale», doveva curare la «esatta esecuzione» delle disposizioni impartite dal Consiglio e dal presidente e compiere atti di ordinaria amministrazione, era «personalmente responsabile della buona conservazione e custodia dei libri, dei mobili e di quanto altro costituisca il patrimonio dell’Ente» (art. 14). È per questo, e alla luce delle funzioni assunte in seguito, che nel 1981 Bonsanti potrà affermare che ai tempi di Montale «il posto di direttore non esisteva neppure sulla carta», era «un semplice incarico»[40].

Il primo decennio del dopoguerra è del resto caratterizzato dalla forte personalità di Ugo Castelnuovo Tedesco, presidente del Vieusseux dal 1946 al 1957, che sembra accentrare su di sé ogni decisione. Ma quando nel 1958 cade la giunta La Pira – un sindaco che Bonsanti giudica al tempo stesso «l’interprete della città quale essa è in una realtà vagheggiata» e l’espressione di un «volenteroso e spesso efficace empirismo»[41] -, e si insedia al Comune il commissario Lorenzo Salazar, per un anno anche presidente dell’Istituto, Bonsanti ottiene che al direttore siano riconosciute funzioni maggiori, tali da competere con quelle del presidente.

Sulla base di una sua relazione il Consiglio del 28 giugno 1958 delibera che, «considerati i particolari compiti del Direttore, questi debba essere una personalità del mondo culturale, a cui resta affidato fra l’altro il compito di animatore della complessa attività dell’Ente nel campo della cultura italiana e straniera. Pertanto le funzioni e l’opera del Direttore, oltre a esser quelle previste dallo Statuto, si configurano come le funzioni e l’opera di un vero e proprio rappresentante del Consiglio, per l’attuazione delle finalità dell’Ente stabilite dagli articoli 1 e 8 dello Statuto»: gli delega quindi la tenuta dei verbali e gli conferisce autonomia per le spese ordinarie. Si delinea così quella nuova figura del direttore che sarà formalizzata solo nello Statuto del 1989.

A questa nuova assunzione di responsabilità si unisce la spinta a quel rinnovamento culturale dell’Istituto che era stato prospettato in un’ampia discussione promossa nel 1950 da Cesare Luporini, convinto che esso dovesse richiamarsi alle sue origini ottocentesche per farsi centro attivo di iniziative[42]: ne erano scaturiti quei primi cicli di conferenze cui alludeva Luigi Russo notando nel 1951 una ripresa del Vieusseux[43]. Nella stessa seduta del 28 giugno 1958 il Consiglio approva una relazione del direttore che riflette il nuovo ruolo a lui riconosciuto, e che ridefinisce le finalità culturali dell’ente[44], alla luce, con ogni probabilità, di una più ampia riflessione sulla fisionomia culturale della città: ne sono testimonianza gli articoli in cui Bonsanti nota nel 1958 l’impoverimento di Firenze per l’emigrazione di tanti intellettuali verso centri dove «esistono maggiori sbocchi professionali»[45], o l’inchiesta de «l’Unità» che nel 1962 denuncia, con le voci di Garin, di Ragghianti, di Bertolino o di Ragionieri, il carattere elitario di una cultura locale incapace di rinnovarsi, di sprovincializzarsi e di affrontare temi civili[46].

Dopo aver affermato che lo Statuto prevedeva che «le attività del nostro Ente nel campo della cultura possono venire intensificate e allargate ad altre iniziative oltre a quelle della Biblioteca intesa in senso stretto», Bonsanti ricorda, accanto alla preparazione dello schedario delle prime edizioni e ai cicli di conferenze, che dal dopoguerra «l’acquisto dei libri fu indirizzato verso le opere di cultura in senso lato, così da rispondere nuovamente ai criteri educativi e formativi per i quali il Gabinetto Vieusseux venne fondato, e che soli ne giustificano l’esistenza»; «a consigliare di rendere ancor più intensa ed estensiva l’opera del Vieusseux in campo culturale», aggiunge il direttore, vi era il «diminuito interesse del pubblico verso i servizi della Biblioteca circolante considerata nei limiti di una accezione ottocentesca ormai sorpassata dal costume e dai bisogni d’oggi». «A questo diminuito interesse per la letteratura così detta amena, si contrappone un maggior interesse per le opere di cultura, e una maggior frequenza dell’elemento studentesco». Di qui, anche la proposta di riprendere l’«Antologia», già avanzata nel 1956 da Castelnuovo Tedesco che aveva incaricato Bonsanti di costruirne l’impianto[47].

L’«Antologia Vieusseux» sarà fondata solo nel 1966 per valorizzare l’attività culturale dell’ente più di quanto non potesse fare il «Bollettino delle pubblicazioni»[48]: in apertura del primo numero, dove era riprodotto il frontespizio della rivista di Giovan Pietro Vieusseux, il direttore ne spiegava la nascita affermando che dal dopoguerra il Gabinetto si era trasformato, da ente «inteso quasi esclusivamente alla gestione della Biblioteca», in «Istituto dagli interessi culturali ampi, dinamici, attuali»[49].

Il 1966 è anche l’anno dell’alluvione, e proprio il disastro che colpisce duramente il Vieusseux ne accelera la configurazione come istituto di cultura. L’impegno di Bonsanti, che si prodiga per il salvataggio del patrimonio e il reperimento di finanziamenti presso istituti pubblici e privati, italiani e internazionali, e che ligio a una severa etica del lavoro tiene in ogni seduta una relazione minuta sulla sua attività, gli conferisce una posizione di forza: egli ottiene un riconoscimento professionale nel 1970, quando il Consiglio delibera di iscrivere 4 milioni nel bilancio preventivo del 1971 sotto la voce «Incarico professionale Direzione (compresa Direzione pubblicazioni)», una cifra che denota una notevole attenzione per il lavoro da lui svolto, se pensiamo che in quello stesso bilancio la spesa prevista per l’acquisto di libri è di 3.500.000 lire[50]. Con l’entrata in vigore del nuovo regolamento del 1970, che imponendo la scelta del direttore da parte del Consiglio di amministrazione lo sottrae alla nomina politica e ne potenzia le funzioni di controllo, viene sistemata anche la sua situazione economica pregressa[51].

La svolta determinata dall’alluvione è netta. Già nel maggio 1966 su consiglio di Bonsanti il Vieusseux aveva rinnovato la richiesta di una legge speciale per un contributo statale, poiché era diventato «sempre più un Istituto di cultura che coadiuva gli Istituti di istruzione superiore con particolare riguardo al servizio di Biblioteca e dei reperimenti bibliografici e ricerche in genere soprattutto nel settore della cultura straniera»[52]. In dicembre Bonsanti osserva che il disastro avvenuto «potrebbe diventare perlomeno di incentivo ad ammodernamenti strutturali», e d’accordo con Luporini e Betocchi propone che «attraverso una adeguata cernita dei periodici e dei libri, si dia incremento a un indirizzo prevalentemente culturale del Gabinetto, anche in considerazione del fatto che i lettori comuni, ormai serviti dai rotocalchi e soprattutto dalle edizioni economiche, tendono a disertare sempre più le biblioteche»[53]. Non li cita, ma nel 1965 erano cominciati ad uscire gli Oscar Mondadori. Egli ripete questa tesi nel settembre 1967: «tutto ciò che di nuovo si può fare al Gabinetto Vieusseux dovrebbe rassomigliare a quanto si fece nei primi anni della fondazione: la Biblioteca, che a causa del suo rapido e esteso incremento, ha finito col costituire esclusivamente durante la seconda parte della vita dell’Istituto e almeno fino al presente dopoguerra la sua unica attività, dovrebbe ritornare ad essere uno dei vari elementi di questo. Pertanto, mentre le iniziative culturali troveranno quasi certamente un terreno propizio nella zona d’oltrarno e potranno articolarsi con lo sviluppo delle conferenze, lezioni, mostre, ecc., finora attuate in modo limitato, anche gli acquisti dei libri dovranno venire specializzati più di quanto finora non sia stato fatto», concentrandosi su biografie e carteggi, opere teatrali, testi dell’800[54], secondo la linea inaugurata con il primo volume del catalogo delle Prime edizioni francesi entrate in Biblioteca (Vallecchi 1961). Continua a dissentire, come l’anno precedente, solo Alberto Bertolino, favorevole a conservare il carattere di biblioteca di cultura generale, ma la linea di Bonsanti, anche se non approvata formalmente, si afferma di fatto.

La costituzione del Centro Romantico nel 1973 realizza un’idea avanzata da Bonsanti dieci anni prima, ma allora non attuata perché ritenuta troppo dispendiosa e rilanciata dopo l’alluvione, di specializzare la biblioteca sui testi e sui periodici dell’800[55]. Il termine «romantico» era per lui sinonimo di «speranza»: il Centro non doveva quindi essere un luogo di erudizione, ma costituire un nesso tra il passato e l’avvenire, tra «la storia e la vita»[56]. L’Archivio Contemporaneo è, nel 1975, un’altra testimonianza della specializzazione di alta cultura dell’Istituto: concepito nel 1974, in occasione della donazione delle carte di Rosai, per raccogliere documenti e fondi bibliotecari di intellettuali[57], sull’esempio del Fondo manoscritti dell’Università di Pavia costituito da Maria Corti nel 1973, esso corrisponde agli interessi più vivi di Bonsanti. La sua nascita produce tuttavia anche uno strappo rispetto al corpo originario dell’Istituto, con il rischio di entrare in competizione con esso: lo evidenzia il fatto che nel 1979, quando rinuncia alla carica di direttore, Bonsanti accetta quella di conservatore dell’Archivio Contemporaneo, con un’indennità uguale a quella del direttore[58].

La fine della direzione di Bonsanti coincide quindi con una ristrutturazione complessiva dell’ente, nel quale l’Archivio di Palazzo Corsini Suarez acquista una fisionomia e una gestione autonoma rispetto alle attività tradizionali del Vieusseux, incentrate intorno alla biblioteca di consultazione e di prestito e a iniziative pubbliche. La «distinzione» […] di strati culturali diversi, uno popolare e uno di cultura medio alta», tra un piano divulgativo e uno specialistico, che il suo successore Marino Raicich avverserà cercando di potenziare la funzione bibliotecaria dell’Istituto – nel 1979 aveva ancora circa 1300 iscritti al prestito[59] – aprendolo al pubblico degli studenti universitari in espansione, «diverso da quello delle cerchie e dei salotti storici e letterari»[60], era invece una strada che Bonsanti aveva cominciato a percorrere da tempo, come abbiamo visto.

Egli aveva dovuto tener conto della diminuzione degli abbonati, in particolare quelli stranieri, la cui drastica riduzione dopo l’alluvione[61] comportò il progressivo esaurimento della biblioteca circolante, anche per la concorrenza costituita dai nuovi punti di lettura nati in seguito all’attuazione della Regione. L’iniziativa della Direzione generale per le accademie e biblioteche, che promuove il Sistema bibliotecario provinciale affidandolo nel 1969 al Vieusseux[62], non è tale da modificare una tendenza che il direttore ritiene irreversibile: l’impossibilità di tenere aggiornata la biblioteca, insiste, richiedeva di specializzarla sull’800 e di consolidare il carattere di Istituto di alta cultura[63], basato «sull’equilibrio tra conservazione dei documenti e cauta diffusione dei loro contenuti»[64].

Tracciando il bilancio di un trentennio di direzione Bonsanti sembra rendersi conto che un ciclo si era chiuso. Mentre lamenta la persistente difficoltà dei rapporti con il Comune e la scarsa «pressione» del Consiglio di amministrazione su di esso per ottenere un maggiore sostegno economico[65], egli ripercorre le linee seguite dall’Istituto. Ai cicli di conferenze inaugurati nel 1951 su temi culturali di attualità, raccolti nella «Collezione del Vieusseux» edita da Vallecchi, erano seguite nel 1959 le «recensioni parlate» sulle novità librarie, una formula che gli sembrava esaurita: solo i convegni, afferma nel 1972 annunciando quelli su Campana, Rosai e Salvemini, avrebbero ridato la visibilità a un Istituto la cui presenza nella vita cittadina, osserva anche Luporini nella stessa occasione, sembrava «non fosse più così attiva come per il passato»[66]. La collaborazione del Vieusseux nel panorama culturale fiorentino era infatti cambiata: lo spazio per iniziative come la presentazione di libri era stato occupato da altri istituti, mentre il lavoro di documentazione assicurato dall’Archivio Contemporaneo o dal Centro Romantico avrebbe dovuto essere accompagnato, secondo alcuni consiglieri, da iniziative dalla fisionomia non esclusivamente letteraria[67].

In realtà convegni come quelli dedicati nel 1964 a «Lo scrittore, la stampa e le trasmissioni radiotelevisive», nel 1975 a Salvemini o nel 1979 a «La cultura italiana tra ‘800 e ‘900 e le origini del nazionalismo», rappresentano una rarità nel periodo della lunga gestione bonsantiana. Le comprensibili opzioni letterarie di Bonsanti, successore di Tecchi e di Montale, non potevano non imprimere il loro marchio, traducendo in modo univoco il nome dell’istituto fondato da Giovan Pietro Vieusseux, quel Gabinetto scientifico-letterario che aveva affrontato i problemi politici e civili del suo tempo parlando di storia e di letteratura, di agricoltura e di istruzione. Le due originali creature di Bonsanti, il Centro Romantico e l’Archivio Contemporaneo, offrono preziosi strumenti documentari agli studiosi, ma fanno avvertire ancora oggi la necessità di una loro ricomposizione con l’attività complessiva dell’Istituto, per renderlo sempre più centro propulsore di una cultura non solo accademica in un panorama internazionale.


[1] G. ZAMPA, Le fatiche di Sandro, in «Il Giornale», 20 aprile 1980.

[2] Fanno eccezione i cenni di M- BIONDI, Bonsanti giornalista, elzevirista, conservatore, in Alessandro Bonsanti scrittore e organizzatore di cultura, a cura di P. Bagnoli, Firenze, Festina Lente, 1990, pp. 71-83.

[3] G. BECATTINI, Alessandro Bonsanti, in «Il Ponte», 40 (1984), n. 1, p. 140.

[4] Bonsanti a Raicich, 15 aprile 1980, cit. da G. TURI, Marino Raicich direttore del Gabinetto Vieusseux, in Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Vieusseux, Marino Raicich intellettuale di frontiera, Firenze, Olschki, 2000, p. 109. Per la sua produzione cfr. Bibliografia degli scritti di Alessandro Bonsanti, a cura di L. Malatesti, in «Antologia Vieusseux», n.s., 9 (2003), n. 27, pp. 27-160.

[5] A. BONSANTI, Victor Hugo intervistato, in «Antologia Vieusseux», 15 (1980), n. 57, p. 44.

[6] O. LOPEZ, Consolidato il Vieusseux il suo direttore se ne va, in «Paese Sera», 8 gennaio 1980, cronaca di Firenze.

[7] Egli sarebbe stato confermato di anno in anno «ove la sua opera risulti efficace» e se il contributo del ministero fosse continuato (CdA 10 maggio 1941). [Con CdA, seguito dalla data, è indicata la seduta del Consiglio di amministrazione registrata nei Verbali delle sedute presso l’Archivio Storico del Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Vieusseux, alle seguenti collocazioni: ASGV, XX, 3A.3 (1924-1945), 3A.4 (1946-1960), 3A.5 (1961-1971), 3A.6 (1971-1977), 3A.7 (1977-1980), 3A.8 (1980-1983). Ringrazio Laura Desideri per avere facilitato la mia ricerca.]

[8] Cfr. Il Vieusseux. Storia di un Gabinetto di lettura 1819-2000. Cronologia, saggi, testimonianze, a cura di L. Desideri, Firenze, Polistampa, 2001, p. 109.

[9] Ivi, pp. 90, 98. Sulla loro opera cfr. L. DESIDERI, Bonaventura Tecchi per la biblioteca del Gabinetto Vieusseux, in «il Vieusseux», 5 (1992), n. 14, pp. 57-75, e P. BAGNOLI, Montale e il Gabinetto Vieusseux, ivi, n. 13, pp. 67-83.

[10] Consiglio direttivo del 25 gennaio 1943. Bonsanti ricorda di aver fatto parte nel 1937-40 della commissione dei premi letterari istituita dal ministero della Cultura popolare e presieduta dal ministro (Commissione di vigilanza, in A. BONSANTI, Portolani d’agosto 1971-1974, Milano, Mondadori, 1978, pp. 123-24).

[11] L’antifascista, lo storico, l’osservatore. Conversazione con Giampiero Carocci a cura di Giovanni Contini e Gianpasquale Santomassimo, in «Passato e presente», 19 (2001), n. 53, p. 95.

[12] G. TURI, Lo spazio di «Solaria», in Gli anni di Solaria, a cura di G. Manghetti, Verona, Bi & Gi editori, 1986, pp. 79-100, poi, rivisto, in G. TURI, Lo stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 244-53.

[13] A. BONSANTI, La cultura degli anni Trenta: dai Littoriali all’antifascismo, in «Terzo Programma», 1963, n. 4, in particolare pp. 189, 195, 197, 202, 217. In altre occasioni Bonsanti si annovera tra i «bigi» (La guerra è troppo seria per i politici, in A. BONSANTI, Portolani d’agosto, cit., p. 104).

[14] A. BONSANTI, Sassi in piccionaia, in «La Nazione italiana», 17 luglio 1957.

[15] Così M. FORTI, Il debito con Bonsanti, in Dedicato a Bonsanti, in «Antologia Vieusseux», 20 (1984), n. 3, p. 19.

[16] «Con i letterati mediavo. Vorrei poterlo fare pure a Palazzo Vecchio», intervista a «Il Tempo», 16 gennaio 1983.

[17] C. BO, Dalle «Giubbe rosse» al «Vieusseux», a Palazzo Vecchi, in «Corriere della sera», 14 gennaio 1983.

[18] G. BECATTINI, Alessandro Bonsanti, cit., pp. 142-43.

[19] A. BONSANTI, Regione avanti lettera, in «La Nazione», 12 ottobre 1970

[20] G. ZAMPA, Ricordo di Bonsanti, in Dedicato a Bonsanti, cit., p. 53. Cfr. anche C. CECCUTI, Le origini de «Il Mondo», introduzione alla ristampa anastatica della rivista con prefazione di G. Spadolini, Firenze, Passigli, 1985, e Il Mondo 1945-1946. Indici, a cura di E. Gurrieri, introduzione di A. Andreini, Milano, FrancoAngeli, 2004.

[21] A. BONSANTI, «Il Mondo» primogenito, in «Il Giorno», 10 luglio 1974. In un testo dell’11 maggio 1981 Bonsanti osserva che nella rivista «i princìpi repubblicani vennero applicati, quasi senza proporselo, con equilibrio e senza acrimonia neppure per gli avversari» (A. BONSANTI, Una testata: IL MONDO di Firenze 1945-1946, cit. da A. ANDREINI in Il Mondo 1945-1946. Indici, cit., p. 17).

[22] «Il Mondo», 20 ottobre 1945, p. 7.

[23] A. LORIA, Ricordo di Ugo Ojetti, ivi, 16 marzo 1946, p. 5.

[24] Ivi, 16 marzo 1946, p. 12.

[25] A. BONSANTI, Amico-nemico, in «Il Ponte», 29 (1973), pp. 1060-62.

[26] Id., Le bombe all’Orsini, in Portolani d’agosto, cit., p. 168.

[27] A. BONSANTI, Una testata: IL MONDO di Firenze 1945-1946, cit., p. 15.

[28] G. MACCHIA, Ricordo di Bonsanti, in Dedicato a Bonsanti, cit., p. 37.

[29] Relazione sulla situazione della biblioteca… 30 dicembre 1938 (ASGV, XX, IB.24.2).

[30] Cfr. L. DESIDERI, Il Gabinetto Vieusseux nel primo ‘900: alcuni giudizi di illustri contemporanei, in «il Vieusseux», 7 (1994), n. 21, pp. 102-04, 112.

[31] In Dedicato a Bonsanti, cit., pp. 57-58.

[32] CdA 5 maggio 1945, riprodotto in P. BAGNOLI, Montale e il Gabinetto Vieusseux, cit., pp. 77-81.

[33] Risultano 13 nel CdA 28 giugno 1958.

[34] Cfr. la relazione di Bonsanti, CdA 12 maggio 1947, pp. 11-14. Secondo Montale gli abbonati erano cresciuti nel periodo bellico per la chiusura di teatri e cinema o per «la quasi totale sparizione nelle librerie di quei libri stranieri dei quali il nostro Istituto abbonda» (CdA 5 maggio 1945, p. 372); egli fornisce la cifra di 700 abbonati nel 1941 e di 1800 nel 1944. Nel 1946 questi risultano ancora 1800, di cui 130 stranieri (CdA 2 marzo 1946, p. 2).

[35] CdA 26 maggio 1945, p. 385; CdA 14 ottobre 1948, p. 38; CdA 13 gennaio 1949, pp. 52-53.

[36] CdA 15 novembre 1958, p. 235; poi CdA 30 giugno 1964, p. 72; CdA 25 maggio 1966; CdA 31 dicembre 1969, p. 322.

[37] CdA 5 aprile 1969, pp. 271, 273.

[38] Cfr. ad esempio CdA 21 gennaio 1967, p. 135; CdA 28 aprile 1967, p. 155.

[39] «L’attuale incaricato della direzione ha le qualità necessarie, ma egli non intende dedicarsi ulteriormente a tale incarico», afferma Montale nella relazione cit. del 5 maggio 1945.

[40] Montale, in «Antologia Vieusseux», 16 (1981), n. 3, p. 1.

[41] A. BONSANTI, Il sindaco, in «La Nazione», 22 maggio 1962.

[42] CdA febbraio 1950.

[43] L. RUSSO, La cultura a Firenze, in «Belfagor», 6 (1951), p. 451.

[44] Già nel CdA del 27 ottobre 1956 Castelnuovo Tedesco aveva presentato il suo programma, approvato dal Consiglio, per riportare il Vieusseux «alle funzioni culturali che ebbe a Firenze in passato» (p. 192).

[45] A. BONSANTI, Firenze disertata, in «Il Mondo», 28 aprile 1959.

[46] La cultura a Firenze, atti dell’inchiesta e della tavola rotonda a cura della redazione fiorentina dell’Unità, Firenze 1962.

[47] CdA 28 giugno 1958, pp. 231-33. In questa seduta si propone anche di schedare i periodici per materie e di insistere perché il parlamento approvasse una legge speciale per consentire al Vieusseux maggiori disponibilità finanziarie.

[48] CdA 27 ottobre 1965, p. 95.

[49] Avvertimento, in «Antologia Vieusseux», 1 (1966), n. 1, p. 1.

[50] CdA 7 ottobre 1970, pp. 375-77.

[51] CdA 25 marzo 1972, pp. 48-51.

[52] CdA 25 maggio 1966, pp. 120-21.

[53] CdA 17 dicembre 1966, p. 133.

[54] CdA 29 settembre 1967, p. 167.

[55] CdA 18 gennaio 1963, p. 41; CdA 30 novembre 1968, p. 249; CdA 18 gennaio 1969, p. 259.

[56] Romantico, in oggi, in «Antologia Vieusseux», 9 (1974), n. 3, p. 1.

[57] CdA 6 aprile 1974, pp. 161-62; CdA 19 ottobre 1974, p. 208.

[58] Cfr. G. MANGHETTI, L’Archivio Contemporaneo «A. Bonsanti», in «Antologia Vieusseux», n.s., 2 (1995-1996), n. 3-4, p. 240.

[59] G. TURI, Marino Raicich direttore del Gabinetto Vieusseux, cit., p. 114, e CdA 1 dicembre 1979, p. 244. Nel CdA del 15 aprile 1980 Raicich sottolinea come «nella crisi del pur così ricco sistema bibliotecario fiorentino, la biblioteca del nostro Istituto abbia già ora e debba assumere sempre più una funzione essenziale al servizio di tutta la cittadinanza e in particolare degli studenti e degli stranieri» (p. 10).

[60] Il Vieusseux non è più un «cenacolo» esclusivo, intervista di Raicich a «l’Unità», 21 settembre 1980.

[61] CdA 6 dicembre 1967, p. 182.

[62] In «Antologia Vieusseux», 4 (1969), n. 3-4, p. 1; CdA 24 aprile 1970, p. 341.

[63] CdA 26 febbraio 1972, pp. 34, 41-42.

[64] CdA 3 novembre 1979, p. 226.

[65] CdA 30 aprile 1971, pp. 382-86.

[66] CdA 28 giugno 1972, pp. 81-83; cfr. anche Bonsanti in CdA 7 dicembre 1972, p. 90.

[67] Ad esempio Luporini, «rendendosi interprete di pareri raccolti in vari ambienti cittadini, propone che il Gabinetto Vieusseux si dedichi principalmente alla organizzazione dei convegni, tralasciando o riducendo al minimo gli altri tipi di manifestazioni che vengono svolti largamente da altri istituti e circoli della città» (CdA 23 novembre 1973, p. 151).

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